Non che io pensassi di essere immune, ma una qualche flebile fierezza di riuscire a non prenderlo iniziavo ad averla: trivaccinata, sempre molto attenta a distanze, contatti, luoghi, pur facendo una vita normale, quantomeno la normalità gnecca e un pò triste che appartiene a tutti da due anni a questa parte.
Invece… invece domenica scorsa mi scoppia un super mega raffreddore come non mi accadeva da anni, e un filo di bruciore alla gola.
” Avrai preso freddo.” Sentenzia l’amica del cuore.
” Avrai preso freddo.” Sentenzia figlio maggiore che peraltro l’ha avuto subito dopo capodanno e col quale ero stata anche in contatto senza contagiarmi.
“Avrai preso freddo” sentenziano tutti i miei “contatti stretti”. Okay, avrò preso freddo, in fondo le malattie da raffreddamento esistono ancora, però decido di farmi un tampone casalingo, di quelli che mi ha portato mia figlia a settembre, quelli che vengono forniti gratuitamente dal National Health System inglese a tutte le famiglie, una scatola da sette tamponi a settimana. Non è la prima volta che ne faccio uno, ho sempre cercato, per la sicurezza mia e di chi mi sta intorno, di togliermi ogni dubbio e godermi le occasioni conviviali, non tante ma ne ho avute tra cene a tema, compleanno, Natale. Insomma mi faccio questo serissimo (gli inglesi non scherzano su questo), tampone gola-naso e con un filo di stupore e anche di schifo vedo la striscia schizzare verso l’alto e comparire la famosa double bar C T. Positiva.
Nessun panico, sia chiaro, ma molto stupore: sono stata sempre molto attenta anche a tenere sempre le mani igienizzate, mascherina sempre, anche all’aperto. I miei “contatti stretti” stanno tutti bene, ma io l’ho preso, ‘sto maledetto virus, e da brava crucca inizio a fare ciò che si deve fare, cioè contattare il mio medico curante per l’impegnativa per il tampone.
La faccio breve: ci ho messo tre giorni ad avere l’impegnativa per il tampone rapido, che oramai fanno soltanto quelli. Ovviamente conferma che sono positiva. Sono un tipo pratico e che non si scoraggia facilmente: mi sono precipitata a fare la spesa per me e per la mia gatta, poi una confezione di ibuprofene, che a quanto pare chi fabbrica la Tachipirina è già sufficientemente ricco e non è più consigliata, mi sono chiusa in casa, divanoterapia, the, tisane, brodo, stracchino, verdure e intanto aspettavo la telefonata della uls per certificare definitivamente la mia positività, o almeno la mail nella quale mi venisse richiesto se ho sintomi e quali: niente, zero. Alla fine riesco a comunicare con la mia medichessa che mi manda a dire che il sistema è totalmente imploso e che mi farà avere lei le impegnative, mano a mano che serviranno. Dopo una settimana mi rifaccio il tampone UK: positiva. Non mi stupisco neanche di questo ma lascio a mio figlio, fuori dalla porta, il mio green pass in versione cartacea; la fa testare in due bar diversi: funziona, potrei fare quello che, ne sono convinta, fanno in tanti: ci provano, escono, vanno a farsi le loro piccole commissioni e poi tornano alla loro quarantena light. Io no, non lo faccio, perchè se sarà forse vero che prima o poi questa forma di covid ce la passeremo tutti, io resto un doberman inside, le regole le seguo.
Intanto però tra una serie su Sky e un libro ripenso a quel venerdì, quello nel quale facendo due conti mi sono infettata. Cosa caspita ho fatto di diverso quel giorno? Nulla. Ho lavorato da casa, sono stata a bere un caffè e a comprare un quotidiano nel solito enorme bar-edicola-tabaccheria; lì ho igienizzato le mani dopo aver pagato, ho consumato seduta, nella saletta eravamo pochi, forse sei, otto persone, tutti distanti. Sono passata all’ipermercato dove ho disinfettato il maniglione del carrello, mi sono ri igienizzata le mani dopo aver pagato, sono salita in auto e tornata a casa dove sono rimasta. Gesti diventati automatici dopo quasi due anni di questa immane fetecchia che ci è piovuta addosso. Non che mi aspetti che mi si accenda una lampadina sopra la testa tipo “Sì, saranno stati i due pensionati del tavolo più vicino al mio, quelli persi nel loro grattaevinci” o “Sì, sicuramente le mani della cassiera” “Sì, sicuramente il bastardo era sula confezione di Pavesini”, però la curiosità resta e tale resterà. Per fortuna non sono stata troppo male, mai una linea di febbre, solo malessere e questo maledetto raffreddorone che ancora un pò persiste, infatti sono ancora positiva. Dal mondo esterno mi raccontano della città vuota, dei cartelli chiuso per malattia sulle porte di molti negozi, della gente sempre più incazzata. Io resto qui e aspetto. Martedì il secondo tampone al drive-in.
Spero negativo perchè sinceramente ne ho le tasche piene.
Un saluto a chi passa. Lo so che ogni giorno incredibilmente qualcuno passa a leggermi, anche se i blog come questo sono passati di moda. ; )
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